Briciole dalla mensa - Domenica della Pasqua di Gesù (anno B) - 31 marzo 2024
LETTURE
At 10,34a.37-43 Sal 117 Col 3,1-4 Gv 20,1-9
COMMENTO
Tre personaggi sono protagonisti dell’esperienza del mattino della risurrezione. Tre discepoli di Gesù, tre modi diversi di vivere la sequela: «l’umile trinità umana» (M. Bellet). Il racconto del mattino della risurrezione inizia con un gesto vivo e solare, come un atto umano che anticipa la realtà della vittoria sulla morte: è il gesto di Maria di Magdala che va a visitare il sepolcro di Gesù. È un gesto di assoluta gratuità. Nei Sinottici le donne vanno alla tomba portando gli aromi per compiere un gesto di pietà verso quel povero corpo martoriato: un gesto che non avevano potuto fare subito perché iniziava il riposo del sabato. Invece, Giovanni ci ha raccontato che Nicodemo era andato a seppellire Gesù, insieme a Giuseppe di Arimatea, portando «trenta chili di una mistura di mirra e di aloe» (Gv 19,39): la sepoltura era già stata completata.
Maria va dunque al sepolcro spinta solo dalla gratuità, da un desiderio interiore, per un ultimo incontro con Gesù, che ha amato e che crede morto. È un moto di gratuità che la spinge fuori di casa, che le fa trovare una tomba aperta e vuota, e la fa incontrare il Risorto, a partire dalla relazione che Gesù mantiene con lei: «Maria!». All'opposto, i discepoli sono chiusi in casa, a porte chiuse come in una tomba, incapaci di incontrare il Signore e di vivere la relazione con il Risorto se Lui non vince i loro ripiegamenti paurosi: essi mancano di gratuità.
La gratuità è segno di amore, di una relazione con l'altro. La Chiesa funzionalista non conosce la forza e la bellezza di un movimento interiore così alto nei confronti degli altri. Essa riconosce solo la tomba, e rimane chiusa al mondo, celebrando una massa di dottrine legate ad una storia passata, ad un corpo che non c'è più, non essendo spinta da ciò che non ha alcun scopo, se non il desiderio dell'Altro.
Così Maria di Magdala è spinta dalla sua passione per il Maestro e si trova, in questo modo, inconsapevolmente disponibile per vivere un incontro profondo, il primo di una persona con il Risorto. Però questo avviene a piccoli passi, perché in Maria vediamo solo un'inquietudine riguardo all'assenza del corpo di Gesù, ma che sembra molto profonda, così da lasciar spazio ad un'altra esperienza: l'idea, ancora vaga, della risurrezione, che si scontra con la sua preoccupazione per il corpo scomparso. Il racconto, inframmezzato dalla corsa di Pietro e dell'altro discepolo al sepolcro, insiste sull’ossessionata ricerca del corpo da parte di Maria, spinta dall'amore, che la porta a chiamare con il nome di risorto («mio Signore»), il corpo morto che lei cerca, come un anticipo della risurrezione.
Maria è come accecata dal suo dolore e dal suo amore, e coloro che incontra (i due discepoli, i due angeli, Gesù stesso) non la guidano, ma sono un ostacolo fra lei e colui che cerca. Le sue lacrime sottolineano la tristezza della perdita e la sofferenza di non poter vivere pienamente il lutto. Così i due discepoli che era andata ad informare non l’aiutano. La vista degli angeli sembra lasciarla indifferente, e l'apparizione di Gesù in persona non è sufficiente ad aprirle gli occhi: crede di vedere un giardiniere.
Trovo davvero strano tutto questo in Giovanni: un Vangelo che, fin dall'inizio, ha insistito molto sul ruolo di mediatori per incontrare Gesù. Per Maria tutto è, invece, un ostacolo, finché non è il suo Signore Gesù a imporsi chiamandola per nome: «Maria!».
Tutto il racconto è un crescendo di suspense, così da mettere in evidenza la trasformazione che la risurrezione ha comportato nella persona di Gesù e il cambiamento di modo di legarsi a Lui nella fede. Infatti il vedere Gesù secondo la carne sta per scomparire e deve nascere una nuova relazione, basata sull'ascolto della sua parola. Mentre nel Vangelo di Luca gli occhi dei discepoli si aprono quando Gesù spezza il pane (cfr. Lc 24,30), qui è proprio il chiamare Maria con il suo nome a provocare il riconoscimento: perché «le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori» (Gv 10,3).
Come per Maria, anche per il discepolo che Gesù amava andare al sepolcro era come una specie di appagato addio. Diverso è per Pietro, perché il suo ultimo gesto verso il Maestro ancora vivo era stato il suo vergognoso tradimento. Dell'altro discepolo viene sottolineata la corsa più rapida: a dire di una maggiore vivacità ispirata dall'amore totale per Gesù. Mentre Pietro corre, perché il suo attaccamento al Signore resiste alle sue infedeltà, ma corre più pesantemente, gravato dalle sue contraddizioni. Entra per primo al sepolcro, ma si accontenta di osservare gli oggetti, di farne un elenco freddo, senza alcuna deduzione. Per Pietro tutto rimane legato alle tracce della morte, e non viene ancora interpretato attraverso l'ordine simbolico ispirato dalle Scritture, come fa il discepolo che Gesù amava.
La familiarità di quest'ultimo con Gesù gli permette di passare subito da ciò che vede all'adesione a ciò che non vede, cioè al mistero di Gesù risorto. Il discepolo che Gesù amava non soltanto precede Simon Pietro, ma è indicato da Giovanni come simbolo del vero discepolo: si aderisce al Risorto con l'amore, lasciandosi abbracciare da un amore così grande da far risorgere la povera carne umana.
Buona Pasqua a tutti.
Alberto Vianello
Monastero di Marango
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