Briciole dalla mensa - 24° Domenica T.O. (anno B) - 19 settembre 2024
LETTURE
Is 50,5-9 Sal 114 Giac 2,14-18 Mc 8,27-35
COMMENTO
«Per la strada Gesù interrogava i suoi discepoli»: la strada è simbolo della vita. È nella propria esistenza concreta, umana, quotidiana che deve avvenire la confessione di fede. E la strada che i discepoli stanno facendo è insieme a Gesù: vuol dire che la realtà della persona che essi confessano è una realtà che coinvolge e attrae la loro stessa realtà. La relazione con le altre persone ci cambia e assumiamo di esse quello che ci comunicano di positivo. Ma la forza di attrazione di Gesù Cristo è molto più forte, e il fare strada, il fare vita con Lui ci trasforma più radicalmente, ci trasfigura, finché «il nostro misero corpo sarà conformato al suo corpo glorioso» (Fil 3,21).
«Ma voi, chi dite che io sia?»: Gesù pone tale domanda ai suoi discepoli. Ed è bene che la domanda rimanga, anche quando essi sapranno di Gesù: crocifisso e risorto. Anzi, sarà proprio l'evento pasquale a porre come unico sapere proprio l'interrogativo su Gesù: «Nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", perché sapevano bene che era il Signore» (Gv 21,12). È il chiaroscuro della fede. Il riconoscimento lascia l'interrogativo: c'è il desiderio di fare la domanda, senza che si osi farla, nella certezza comunque che «è il Signore». È bene che Gesù non sia solamente una risposta. Solo così, infatti, sarà veramente il Signore.
La sicumera religiosa di avere le conoscenze e le sicurezze su Gesù, depositate nella Chiesa, finisce con l'essere un vicolo cieco alla fede. Il Vangelo ci racconta degli incontri di Gesù con persone lontane dalla fede o con un unico appiglio di fede: come la donna straniera che si accontenta delle briciole che cadono dalla tavola della religione, o il padre dell'epilettico, che formula una spontanea e fulminante "definizione" di fede: «Credo; aiuta la mia incredulità» (Mc 9,24).
Questo ci porta a chiederci se rimaniamo anche noi, come Pietro, alle dichiarazioni: «Tu sei il Cristo». Lo abbiamo visto anche al termine del discorso sul pane di vita. Pietro formula una dichiarazione su Gesù altissima, ma, in quanto tale, è una dichiarazione di fede che tiene lontano Gesù: è sulla linea del Dio come «Essere perfettissimo», non del Padre che si impasta con la nostra umanità fino a donarci il proprio Figlio sulla croce. Così la reazione di Gesù, che ordina ai discepoli di non parlare, non sembra tanto sulla linea del mantenimento del silenzio messianico, quanto della distanza che Egli vuole prendere riguardo a tale dichiarazione.
Infatti, subito dopo, invita a credere in un Messia molto diverso da quello proclamato da Pietro: un Messia per nulla potente, che dovrà soffrire molto, essere rifiutato da coloro che contano religiosamente, culturalmente, economicamente, venire ucciso e risorgere dopo tre giorni. Ma Pietro ha in mente un modello diverso, un modello vincente, e rifiuta tale sorte di Gesù il quale vuole invece essere un modello alternativo alle logiche umane. L'uomo cerca di vincere con la forza, Dio attraverso la debolezza; noi vogliamo cambiare la storia con la violenza, Dio con l'amore. Il Signore salva l'uomo e tutto il mondo, ma non con l'onnipotenza, ma con l'impotenza. Questo è lo snodo della nostra fede: riconoscere che Dio sceglie le realtà deboli per confondere quelle forti.
Anche l'attuale educazione religiosa alla fede si incentra solo sulla confessione che Gesù è il Figlio di Dio e non va oltre, proprio dove Gesù aveva imposto il silenzio ai suoi discepoli. Non educhiamo al rifiuto del modello vincente, al rifiuto della forza, della violenza, del successo a tutti i costi, non educhiamo al dono di sé, come ha fatto Gesù per tutta la sua vita, non soltanto sulla croce. Noi crediamo questo? Perché è intorno a questo che si gioca la fine della vita: questo e non altro è il Signore.
Una parola ancora sul «rinnegare se stessi». Non vuol dire essere insignificanti, inconsistenti, ma significa non essere ripiegati su se stessi, non fare del proprio "io" il riferimento decisivo di tutto, farne come un dio. C'è un modo essenziale per verificare se non esaltiamo noi stessi: se viviamo la vita secondo lo stile del servizio, che vuol dire donarsi gratuitamente e incondizionatamente agli altri. Non è un lavoro psicologico su di sé, ma essere appassionati per gli altri e spendersi per loro. Anche il «prendere la propria croce» vuol dire una vita spesa liberamente nell'amore fino alla morte: questo «è» Gesù.
Alberto Vianello
Tra il riconoscimento di Pietro e il suo riposizionamento alle spalle di Gesù il passo è breve. Però quello spazio ne contiene di situazioni!
TU sei il Cristo. Ci hai preso, dice Gesù “ma non la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”. Si può intendere che la soffiata dello Spirito non è diventata carne. È come se capiamo qualcosa con la testa ma resta lì e non scende nella coscienza e nel comportamento. Lo stesso accade quando le riflessioni che facciamo sulla Parola si fermano sulla soglia dell’atto di fede, non vanno oltre.
Pietro non sa che vuol dire quello che ha detto. E come potrebbe sapere che significa una cosa inaudita? Tu sei il Cristo, che avrà potuto significare? Gesù allora inizia a spiegare che vuol dire essere il Cristo: maltrattamenti, rifiuti, percosse, flagelli, eccetera. Ma che dice? Il Cristo è un vincente, è parente stretto del Dio dei padri, il Dio degli eserciti… Le reazioni di Pietro sono sempre ‘giuste’, troppo. Tutti i discepoli infatti respingono questa previsione e Pietro per tutti loro, ora che è salito di rango (vedi Matteo), chiama in disparte Gesù e gli dice che non sta bene, “questo non ti accadrà!”. Che scena, Pietro! E si prende una ripassata, poveretto.
Possiamo anche sorridere di Pietro ma dobbiamo riconoscere che è uno di noi, le stesse sue reazioni ci sono familiari, gli somigliamo.
A chi non capita di essere in disaccordo con Dio (o con il caso, o con la vita…) per quello che manda, per le prove, gli insuccessi, i contrattempi, le frustrazioni…? Non è lo stesso che dire a Gesù: questo non ti capiterà mai? Certo, diciamo a nostro riguardo cose meno gravi di quelle che Gesù imputava a sé! E come Pietro le stornava da Gesù così le scongiuriamo da noi stessi. Ma allora a che servono le professioni di fede? “Tu sei il Cristo”, ah sì?
Quel che noi rifiutiamo della nostra vita corrisponde a quel che Pietro vuole ‘generosamente’ evitare al suo ‘Cristo ‘ appena trovato.
Allora l’atteggiamento di Pietro è meno peregrino di quel che appare. In fondo, Pietro negando che quelle sventure si abbattano su Gesù le nega per sé come antitetiche alla vita. ci siamo tutti. Egli ragiona secondo gli uomini.
Ma basta meno. Quando siamo scontenti di quel che siamo (o ci sembra di essere), quando non ringraziamo Dio ‘in ogni tempo’, quando vorremmo ritrovarci in più alte prestazioni, quando contestiamo Dio per i nostri errori o perché vorremmo fare di più per la nostra ‘salvezza’, o per le ‘ingiustizie’ che ci propina o per quel che ci manca o eccetera, siamo fuori Vangelo. Ci andrebbe bene essere posti alle spalle di Pietro. Che fila lunga!
In fondo essere scontenti della nostra vita è un dispetto a Dio, e Gesù sconta anche quello.
Sarà per questo che Gesù chiarisce: volergli evitare la croce, lungi dall’essere un’intenzione generosa, discende dal rifiuto della nostra condizione umana, vuol dire essere in competizione, in guerra. Per questo Gesù va al sodo: se vuoi seguirmi devi smettere di essere a capo della tua vita, devi assumerla com’è fidando che un senso buono c’è.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
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