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Dio opera tutto in tutti

Briciole dalla mensa - Domenica di Pentecoste (anno B) - 19 maggio 2024

 

LETTURE

At 2,1-11   Sal 103   Gal 5,16-25   Gv 15,26-27; 16,12-15

 

COMMENTO

 

«Mentre stava compiendosi il giorno di Pentecoste»: arrivava a pienezza la Pentecoste ebraica, che ricordava il giorno in cui, sul Sinai, la voce di Dio si era divisa in settanta lingue, quanti si pensava fossero i popoli della terra. È lo Spirito che invade il mondo. Ed è bellissimo, anzi, commovente l'elenco dei popoli che Luca fa qui, prendendo dentro tutte le terre che si affacciano sul Mediterraneo, luoghi allora conosciuti come culla della civiltà. Proprio Luca che, nel suo Vangelo, mostra tutte le sue difficoltà con la geografia! Ma è così importante dire che lo Spirito ha il genio di abbattere i muri e i confini di separazione, di creare comprensioni più larghe, che ha il genio dell'universalità.
Lo Spirito dona davvero l'arte della comunicazione, di raggiungere gli altri nelle loro capacità di ascolto e di accoglienza, nei loro linguaggi e nella comunicazione che viene dalla loro cultura e sensibilità. In questo modo la Parola di Dio diventa lingua che rivela e dona Dio ad ogni uomo: che lo fa scoprire figlio di Dio e fratello di tutti gli uomini.

 

E ciò avviene a Pentecoste, compimento della Pasqua. Gli apostoli avevano già ricevuto lo Spirito la sera stessa della Pasqua e poi ancora otto giorni dopo (cfr. Gv 20,19-29), ma cinquanta giorni dopo erano ancora a porte chiuse. Lo Spirito è un vento impetuoso, ma deve fare i conti con le nostre durezze, con le pesantezze della storia e della nostra realtà attuale, con i nostri ostacoli. Se non fosse così, se lo Spirito avesse invaso davvero tutta la terra e ogni cuore, non saremmo qui a invocarlo con solennità nella nostra Pentecoste annuale.
Dobbiamo però subito aggiungere che se il cammino dello Spirito conosce gli ostacoli che noi opponiamo, è anche vero che la sua direzione non può essere fermata. È forza, è dinamismo, entra per le porte chiuse e le spalanca per l'uscita, mette in moto, suscita energie. In questo senso è bellissima la festa di Pentecoste, perché è come il compiersi di una promessa, quella di Gesù: «Vi manderò lo Spirito di verità, mi renderà testimonianza e anche voi mi renderete testimonianza». Ti ringraziamo, Signore, perché è arrivata a compimento la promessa e, insieme, ti chiediamo di essere capaci di scorgere ogni giorno i segni dello Spirito, perché tu sei un Dio che opera tutto in tutti.

 

Paolo dice che Spirito e carne si escludono a vicenda: «La carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne». Lo dice perché evidentemente i Galati si illudevano di poter assecondare su alcune cose lo Spirito e su altre la carne: su alcune cose si fa i cristiani veri, su altre si seguono i propri comodi.
Dei desideri della carne c'è da sottolineare che i vizi più numerosi riguardano il vivere sociale: «Inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie». Sono tutte opere della carne dove l'altro o un gruppo particolare assume, in qualche maniera, il ruolo di avversario. Perché abbiamo sempre bisogno di un nemico, di un oppositore, di uno diverso per sentirci migliori.

 

Se tutte le opere della carne sono riconducibili, in ultima istanza, all'egoismo, il primo frutto dello Spirito, che è «amore» gratuito, costituisce l'azione principale della grazia in noi: rende operativa in noi la fede (cfr. Gal 5,6) ed è il vertice di tutta la Legge (cfr. Gal 5,14). «Gioia e pace» derivano direttamente dall'amore: la gioia scaturisce dalla convinzione della presenza del Signore anche in mezzo alle maggiori contrarietà (cfr. Fil 3,1); e la pace abita il cuore dell'uomo quando si riconosce perdonato e riconciliato con Dio (cfr. Rm 5,1). «Magnanimità (letteralmente: «sentire grande»), benevolenza, fedeltà»: sono frutti che rendono belle le relazioni. Sono attributi di Dio stesso: di come il Signore ha trattato il popolo d'Israele anche - e soprattutto - quando gli era insistentemente infedele. Chi ha riconosciuto questo volto di Dio come Padre può applicarlo alle relazioni con i fratelli. Rapporti segnati dalla pazienza nel non voler cambiare a tutti i costi gli altri. Rapporti caratterizzati da giudizi benevoli e mai definiti. Rapporti nei quali si dà fiducia all'altro, che portano all'apertura e alla confidenza. «Bontà e mitezza»: sono i tratti propri dell'umanità di Gesù. Buono e mite è chi non perde fiducia davanti ai peccati, altrui e propri; oppure di fronte alle precarietà della vita. Invece è capace, per grazia, di «vincere il male con il bene» (cfr. Rm 12,21). Mite è il cristiano che non ha alcuna forma di rivalsa, anche giusta, sull'altro, ma affida i corrotti al giudizio misericordioso di Dio. «Dominio di sé» è il dono che conduce tutti i nostri affetti e tutti i nostri desideri verso un unico obiettivo, che è l'amore e il rispetto del prossimo.

 

«Contro queste cose non c'è Legge»: non si diventa amorevoli, buoni, pazienti ecc. a forza di osservare regole. Le norme e i programmi non rendono automaticamente migliori le persone. Solo lo Spirito, che opera all'interno dell'uomo, può renderci buoni. Si tratta, allora, di lasciar lavorare lo Spirito che ha i suoi tempi, le sue regole, i suoi silenzi.

 

Alberto Vianello

 

 

Lo Spirito Santo è centrale nella tradizione ortodossa, mentre nelle Chiese protestanti il primato è della Parola. La Chiesa cattolica ha il patrimonio intero della rivelazione. Ha lo Spirito, la Parola, l’Eucarestia, le profezie, i Padri. Nello scorrere dei secoli, come le variazioni del clima la Chiesa ha fatto luce ora ad un aspetto ora all’altro del suo tesoro. Lungo i secoli è venuto meno il vigore e la stessa percezione dello Spirito Santo, forse per l’avanzare della teologia, cioè del pensiero umano inteso a far luce sul mistero di Dio, o delle stesse pratiche ascetiche legate all’idea di un Dio da conquistare, forse…
Ma da alcuni decenni, dal Concilio, la Chiesa va riponendo maggior attenzione alla Pentecoste come sviluppo dell’opera di salvezza. Ne invoca una nuova prodigiosa discesa, tanto più necessaria quanto più, senza, gli uomini non ce la fanno a tenere il mondo nella giustizia e nella pace, né riescono a venire a capo delle loro malattie.
Si può aggiungere che anche a memoria di anziano la Pentecoste è stata celebrata come la festa conclusiva del tempo di Pasqua, come per il Natale l’Epifania che tutte le feste si porta via. Un’appendice poco capita, poco pensata. Dopo Pentecoste si torna al tempo ordinario, la vita scorre come prima, come sempre.

 

In realtà, le pagine dei Vangeli sia prima che dopo la risurrezione parlano chiaramente di uno svolgimento successivo alla storia terrena di Gesù, un nuovo inizio affidato allo Spirito e a collaboratori prescelti, senza di che il mondo non avrebbe conosciuto i benefici della redenzione. Lo Spirito Santo è altro dallo spirito umano da ritenere piuttosto come sentimento, intuito, pensiero profondo, anima, che pure fa il suo lavoro.
Giovanni (cfr. Ap 3,20) ne parla così: “Ecco, io sto alla porta e busso; se qualcuno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui, e cenerò con lui”. Lo Spirito è Dio stesso, professato come articolo di fede e ne fanno esperienza coloro che lo ricevono. Essi sono profondamente rinnovati e non per loro sforzo, per effetto di concentrazione o di volontà. “Non da carne e sangue”. Nella natura umana si riaccende la vita come era stata pensata dal Padre creatore.

 

Si può supporre che Adamo ed Eva, prima della disobbedienza, fossero così, come i cristiani rinati dall’alto. Senza di che si vive una vita che ‘non conclude’. “Se qualcuno non ha lo Spirito di Dio non gli appartiene”, sentenzia Paolo ai Romani (8,9). E lo Spirito che pure ispira la conversione, l’esercizio delle virtù, non esaurisce il suo compito nella santificazione personale, ma lavora per la diffusione dell’amore che salva mediante il dono dei carismi “perché il mondo creda” (Gv 17,21). E tutto è gioia.
Ce ne è abbastanza perché questa festa o celebrazione, lungi dall’essere la memoria di un fatto concluso là dove è avvenuto, vada presa molto sul serio. Della Pentecoste, del prosieguo della presenza in noi reale e vivente di Gesù, pur invisibile agli occhi, c’è un’urgenza che mai. “Essi poi se ne andarono a predicare dappertutto, mentre il Signore operava con loro e confermava la parola con i segni che l'accompagnavano” (Mc 16, 20).


Venga lo Spirito altrimenti restano come sospesi gli effetti della redenzione operata da Gesù stesso. Le liturgie sarebbero dei preludi permanenti, promesse, annunci. Così tutto il resto. E incompleta sarebbe la nostra speranza, l’attesa della guarigione e di ogni bene. Che ce ne facciamo di una mezza vita? Sulla tua parola, Signore: non ci si può accontentar di meno.
Sappiamo che la Pentecoste segna il passaggio e la consegna, il proseguimento dell’opera di reintegro dell’umano nel divino. Basta per desiderare con tutto di noi la sua discesa a nostra consolazione e per la salvezza del mondo.
Quando vuoi vieni Gesù, ma fa’ presto. Asciuga le lacrime dai nostri occhi “e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4). Vieni Gesù, ma fa’ presto.

 

Valerio Febei e Rita

 

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