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Ascoltare l'amore

Briciole dalla mensa - 31° Domenica T.O. (anno B) - 3 novembre 2024

 

LETTURE

Dt 6,2-6   Sal 17   Eb 7,23-28   Mc 12,28-34

 

COMMENTO

L'episodio evangelico dello scriba che interroga Gesù sul primo comandamento ha suggerito alla liturgia di proporre, come prima Lettura, il testo di Deuteronomio al quale Gesù rinvia il suo interlocutore, come sua risposta: l'amore a Dio, a cui aggiunge l'amore al prossimo.
«Temi il Signore tuo Dio»: non vuol dire aver paura; invece suggerisce una doverosa attenzione, perché Lui è il metro di comportamento del credente. Siamo tutti debitori all'amore con cui il Signore ci ama, e dentro questo riferimento al suo amore, possiamo vivere il nostro amore per Lui, come poi il testo ci invita. Una caratteristica primaria dell'amore è il rispetto dell'alterità dell'altro, perché l'amore mette insieme i diversi, che solo tale sentimento può congiungere. Se ci pensiamo, la cosa più bella della vita, l'amore, è l'esperienza di due realtà complementari ma diverse, che si ritrovano nello stare insieme.

 

«Ascolta Israele»: il rapporto con Dio, nell’AT, è fondato sulla parola, non sull'immagine. La creazione è parola, la fede di Abramo è sulla parola, i comandamenti sono parola. E la Parola va ascoltata. Dio parla attraverso la creazione (toccare), attraverso la storia (vedere) e attraverso le parole dei profeti (udire).
Ascoltare l'altro, poi, comporta l'obbedire: fare ciò che l'altro dice, come l'amato gioisce nel fare la volontà dell'amante. Non si ascolta il Signore, non si ascolta la sua Parola quando la si riduce a precetti legalistici da osservare, quando la chiamata all'amore è immiserita in morali formali e fredde, buone solo a permettere, a chi è stato a scaldare i banchi della chiesa, di uscire e mettersi a puntare il dito su tutti quelli che passano, e giudicarli come peccatori.

 

A tutto ciò va aggiunto che il verbo ebraico «ascoltare» (shamà) non ha il solo significato di udire, come è nella nostra lingua, ma comprende anche gli atti del credere e del ricevere. A ben vedere, è proprio questa la portata del vero ascolto: perché ci si mette in questo atteggiamento quando si ha fiducia nell'altra persona e quando si è disposti ad accogliere e far proprio ciò che essa ci comunica. Pensiamo allora alla bellezza del mettersi in ascolto di Dio che parla, si comunica e si dona, come atteggiamento fondamentale di fede. L'ascolto comprende tutto, perché dall'ascolto derivano le altre dimensioni fondamentali: la fede, la preghiera, la carità.
Oggi, che ci interroghiamo molto sul futuro della fede, in un mondo sempre più lontano e refrattario; oggi che vorremmo rimodulare la Chiesa secondo una modalità veramente sinodale; oggi possiamo vivere tutto ciò se siamo una Chiesa che ascolta la parola di Dio, così da crescere nella fede e nell'accoglienza della divina rivelazione. È una tale Chiesa che potrà vivere nel mondo, in compagnia di tutti gli uomini, condividendo le loro passioni, avendo trovato una vera passione, quella per il Signore.

 

«Amerai»: il verbo non è all'imperativo, ma al futuro. Amare è il modo di impegnare ciò che ci sta davanti, il tempo, la dimensione della nostra vita. Il nostro futuro sarà vero se sarà dettato dall'amore. Quello che si fa dovrà essere fatto per amore, i propri comportamenti dovranno essere dettati dall'amore, si dovrà perseguire essenzialmente l'amore. Il nostro essere veramente persona lo ritroveremo nell'amare. Ma imporre il comandamento dell'amore futuro può avere anche un ulteriore significato. Il futuro può infatti incoraggiare, perché l'amore che non riusciamo a vivere ora, il Signore potrà donarcelo come grazia in qualsiasi dimensione del nostro futuro, come noi non possiamo nemmeno ipotizzare né immaginare.

 

«Con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza». L'amore deve coinvolgere interamente la vita umana. Amare veramente Dio e il prossimo vuol dire non avere la pretesa di riservare qualche parte al proprio orgoglio e all'amore (esclusivo) per se stessi. L'amore è la relazione piena: essa va vissuta con tutta la propria dimensione umana personale e concreta.
Il testo porta a insistere sulla dimensione relazionale. Infatti, il brano del Deuteronomio fa seguire - a tali affermazioni di totalità del proprio essere con il quale amare – l’invito a trasmettere ai figli lo stesso comandamento, a viverlo in tutte le situazioni della vita e, per questo, porlo in maniera tale da averlo sempre presente, anche formalmente. Ogni relazione è un appello all'amore ed è l'unico futuro possibile («li ripeterai ai tuoi figli»); ed ogni dimensione della propria vita ha senso e scopo se è un richiamo continuo all'amore.

 

L'originalità di Gesù sta nell’unire strettamente e indissolubilmente i due comandamenti: l'amore per Dio e per il prossimo. Lapidaria è la prima Lettera di Giovanni: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (4,20b). Questa unità chiede, dunque, coerenza e corrispondenza. Una forma può essere l'attingere da Dio l'esperienza dell'amore, lasciandosi amare da Lui, e poi viverlo con le altre persone. Oppure amare i fratelli, soprattutto se poveri e rifiutati, riconoscendo che così si ama il Signore, che ama identificarsi con loro (cfr. Mt 25,31-46).

 

Alberto Vianello

 

 

Gli chiede lo scriba quale sia il comandamento che ci mette in relazione con Dio, quello sicuro. Tra i seicento e rotti divieti e comandi ci si poteva confondere, non era una domanda obliqua.
Ama Dio, secondo il comando di Mosè, e ama il prossimo. Uno solo in duplice azione. Semplice, no? Magari se il prossimo è simpatico ed educato, se no ciascuno per la sua strada. Se non fosse che poi il prossimo mi fa arrabbiare e gli dico il fatto suo, e se non l’ho fatto passo la notte a pensarci. Devo fargliela pagare, medito di appenderlo per le orecchie, di …
È la prima reazione. Può essere anche l’ultima ma allora ho la guerra dentro e fuori. Quello intanto comprime il senso di colpa rafforzando le ragioni che lo approvano in ciò che ha fatto. Ma sta male anche lui.

 

Che c’entra? C’entra perché ci sono molte cose per cui amare il prossimo non è semplice. Diremmo: ma non poteva Gesù fermarsi alla prima parte? Ma Giovanni il teologo ci richiama al concreto: come potete amare Dio che non vedete se non amate il prossimo che vedete? Forse nel caso in questione, previa la percezione del nostro malessere che è un buon argomento di preghiera, possiamo considerare il malessere del nostro prossimo così da avere la grazia di una ‘calata’ di misericordia. In ogni caso quello di cui si parla è un ‘comandamento’ e i comandamenti, come una volta si capiva, comportano un'obbedienza che non richiede spiegazione né opera di persuasione. Ma i tempi sono cambiati. L’obbedienza, mai chiamarla così, è piuttosto un patteggiamento, un do ut des, concerne una contropartita…

 

Eppure la fede è obbedienza, ché se aspettiamo di capire rischiamo di mettere le radici o di fare muffa. Il secondo è simile al primo: ama il tuo prossimo. Se mi sta sullo stomaco? Amalo il doppio. Fagli un dispetto: prega per lui e ti si aprirà la sua pena nascosta e ti passerà il risentimento. Come fece intendere fra Cristoforo a Renzo additando il suo nemico ridotto ad un cencio dalla peste. “Vieni, e vedrai con chi tu potevi tener odio, a chi potevi desiderar del male, volergliene fare, sopra che vita tu volevi far da padrone. Eppoi conclude: “Tien per certo che tutto sarà gastigo, finché tu non abbia perdonato in maniera da non poter mai più dire: io gli perdono.”. Manzoni ci illustra come risolvere un ostacolo all’amore.
Un criterio ci può servire: amare il prossimo significa sceglierlo. Va bene, ci sei e non ti evito, mi occupo di te, prego per te. Se capissimo che l’altro è comunque sacramento di Dio! Trattando con l’altro facciamo sul serio con il Dio che non vediamo.

 

È anche scritto di amare gli altri come se stessi, allora i pigroni son tentati di non amarsi più di tanto per non avere troppe beghe e avere meno obblighi.
Diceva un prete: “Scegliti per quel che sei! Sei prezioso agli occhi di Dio. Tutte le stagioni sono belle. Quante volte la gente vive lontano, fuori da sé! Scegliete il vostro marito, il vostro fidanzato, scegliete il fratello, la sorella con la quale vivete in casa, scegliete quando andate a pregare, scegliete questo momento...
L’importante è che tu ti scelga tutti i giorni. Quando il buon Dio ci dice di amare il prossimo come noi stessi, se tu non ti scegli come fai a scegliere il tuo prossimo? Sì, scegli il tuo prossimo, senza dimenticare che tu sei il primo prossimo di te stesso! Scegliti e c compi il cammino di Dio. Tu sei prima, sei più importante di ogni situazione in cui puoi trovarti. Precedi tutta la realtà perché il sabato è per l’uomo e non viceversa. Scegliti perché Dio ti ha scelto, non c’è altro motivo più grande di questo. Non fate dispetto a Dio! Benedici il Signore in ogni tempo!
E non si facciano equivoci: scegliersi non è accettarsi, suppone un certo malgrado, rassegnazione, è così purtroppo che vuoi farci! No! Scegliersi come si è e scegliere il prossimo com’è è indispensabile per lasciarsi scegliere da Colui che ci sceglie sempre”.
Don Oreste Benzi.

 

Valerio Febei e Rita

 

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